Quando Antonio Castagna ci propose di accompagnare la sua classe in biblioteca di quartiere, la “nostra Ginzburg”, accettammo con entusiasmo coinvolgendo Gemma Cassia in questa iniziativa.
Un’iniziativa che coincide perfettamente con il nostro modo di lavorare nel e per il territorio.
Collaborare con le scuole è una delle missioni dell’ANPI, collaborare con una scuola che contiene il “mondo intero” vuol dire accogliere e condividere storie, aspirazioni e constatare che a prescindere dal luogo di provenienza o dalle storie famigliari ci assomigliamo tutti.
Ringraziamo Antonio e la sua collega, professoressa Joana Gioni, per averci donato questa occasione di incontro e di collaborazione e Gemma Cassia per aver aperto, anzi spalancato, le porte della Ginzburg.
Infine il dono che gli studenti e le studentesse del Giulio ci faranno: la traduzione delle schede delle lapidi presenti sul nostro territorio in spagnolo e rumeno, traduzioni che andranno ad aggiungersi a quella in arabo. Noi a loro abbiamo donato alcune copie della Costituzione, che ci tiene tutti insieme, con la versione anche in altre lingue.
Di seguito il racconto di Antonio Castagna del progetto
In biblioteca con l’ANPI Nicola Grosa
Insegno Italiano e Storia in una scuola serale, l’IIS Giulio di via Bidone, a Torino e ho 55 anni. Gli allievi sono talvolta miei coetanei, a volte sono invece giovani che hanno abbandonato per qualche motivo la scuola e che dopo qualche anno decidono, per puntiglio o alla ricerca di un lavoro meno stressante, di completare il percorso della scuola secondaria superiore. Altri, molti, sono stranieri, qualcuno arrivato da qualche anno, armato di un italiano ancora impreciso; qualcuno invece è qui da diversi anni, con un titolo di studi acquisito in patria ma privo di valore in Italia perché tra i governi non si è raggiunto un accordo per stabilire un livello minimo di riconoscimento. Qualcuno, tra questi ultimi, è laureato; altri hanno un progetto chiaro e intendono arrivare alla laurea pur continuando a lavorare.
Dunque in media si tratta di persone motivate che nella scuola serale trovano un sostegno ai loro progetti di vita.
La sera del 23 febbraio, io e la mia collega Joana Gjoni, anche lei insegnante di Italiano e Storia, abbiamo accompagnato 3 classi a visitare la biblioteca Natalia Ginzburg. È raro che una popolazione come quella che ho descritto vada in biblioteca e prenda in prestito i libri. Leggono poco e tendenzialmente soffrono di un timore reverenziale verso qualsiasi cosa che possa accostarsi alla parola cultura. Mi viene sempre da pensare che, come civiltà, abbiamo finito per irrigidire la parola cultura in una rappresentazione elitaria, astratta, distante.
I miei allievi del serale adorano confrontarsi con le storie, con le cose che non sanno; sono bravissimi a collocare quello che imparano nella loro esperienza quotidiana; amano dialogare e dibattere in classe su qualsiasi tema; accettano volentieri il contributo degli esperti; divorano i documentari che gli propongo. Allora per quale motivo continuano a leggere poco e a non frequentare la biblioteca?
Probabilmente per loro la biblioteca è una specie di santuario, ha una dimensione sacrale e misterica inaccessibile. E quindi abbiamo pensato fosse utile farli entrare in quel posto. Ad accoglierci c’erano Gemma Cassia, la direttrice, e Augusto Montaruli, presidente della sezione Nicola Grosa dell’ANPI, il più grande spacciatore di tessere ANPI che abbia mai conosciuto (è legale e anche costituzionalmente adeguato, lo dico al Ministro caso mai gli scappasse un attimo di irritazione). Le domande degli allievi non lettori e non utenti della biblioteca erano molto semplici: si può prendere in prestito un libro? È gratuito? Come si fa? Gemma ha presentato la biblioteca, i suoi servizi, risposto alle domande. Intorno al tavolone dell’emeroteca il dialogo ha destrutturato il santuario e ha fatto emergere un luogo dove chiunque può sentirsi a proprio agio. Augusto ha presentato lo scaffale curato dalla sezione Grosa dedicato alla resistenza. Due delle tre classi quest’anno studiano la Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza, magari qualche memoriale o anche qualche romanzo, potrebbe essere utile a integrare lo studio.
La direttrice a un certo punto ha chiesto a ognuno di raccontare cosa sapevano della Resistenza, della Seconda Guerra, se ne avevano mai parlato con i nonni, con qualche parente. Sono venuti fuori i molti vuoti creati dagli ultimi fortunati decenni di pace, ma anche le omissioni: “non ho mai chiesto a mio nonno, che ora è mancato”, “il mio non ha mai voluto parlare della prigionia”, e così via. Poi qualche storia, qualche frammento ricostruito. Molti ricordano il riferimento dei nonni alla fame provata in quegli anni, e ora finalmente quella parola, vaga di per sé, può essere collocata in un’esperienza collettiva, in un momento importante della nostra Storia. Ora, nella conversazione intorno al tavolo la Storia si intreccia con le storie o meglio con i frammenti di storie conservati nella memoria degli allievi. È così che a un certo punto sembra quasi che il santuario sia in realtà quello spazio che ogni volta siamo capaci di costruire quando mettiamo insieme le storie del presente e del passato, dei potenti e degli umili, delle guerre combattute o semplicemente subite.
Questa immagine del santuario me la devo ricordare, me lo devo ricordare costantemente che la cultura è quella cosa poco definibile che ogni giorno siamo chiamati a destrutturare, osservare e ricostruire insieme ad altri e che la scuola è una specie di grande Lego, un luogo dove imparare tutti insieme a ricostruire. E che libri, giornali, riviste, sono le scatole dei giochi. E le biblioteche dei favolosi depositi da cui pescare i pezzi mancanti. Grazie Augusto e Gemma, grazie alla mia collega Joana con cui condivido la passione per il gioco e grazie agli allievi che dopo la fatica di una giornata lavorativa trovano anche il tempo per dare una nuova forma ai santuari.